Assicurazione r.c. professionale: niente copertura per i danni alle opere progettate e/o dirette dall’assicurato che non ne compromettono la “stabilità, solidità e durata”

Assicurazione r.c. professionale: niente copertura per i danni alle opere progettate e/o dirette dall’assicurato che non ne compromettono la “stabilità, solidità e durata”
08 Gennaio 2018: Assicurazione r.c. professionale: niente copertura per i danni alle opere progettate e/o dirette dall’assicurato che non ne compromettono la “stabilità, solidità e durata” 08 Gennaio 2018

Nelle controversie che riguardano i contratti di assicurazione di ingeneri, architetti e geometri è una questione ricorrente l’interpretazione della clausola contrattuale che limita l’operatività della garanzia, in caso di danni alle opere edili progettate e/o dirette dall’assicurato, a quelli che cagionino la rovina totale o parziale dell’edificio ovvero integrino dei difetti così gravi da comprometterne, “in maniera certa ed attuale”, la “stabilità, solidità o durata”. Tali “gravi difetti”, per di più, devono riguardare le sole opere “destinate per loro natura a lunga durata”, con esclusione assoluta quindi dei danni a quelle che tali non siano. Non è mancata qualche sentenza di merito che ha equiparato i “gravi difetti” previsti dalla clausola a quelli contemplati dall’art. 1669 c.c. ai fini della responsabilità dell’appaltatore. La confusione è certamente indotta dall’apparente assonanza del contenuto della clausola con quella di quest’ultima disposizione, laddove i “gravi difetti” sono associati alla rovina dell’edificio (per affermare la responsabilità dell’appaltatore quando l’edificio “rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti”). Sulla base di questa equiparazione, quindi, si è a volte affermato che l’assicurazione valga anche per difetti di minor importanza, ma che incidano “sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene” (SS. UU. n. 7756/2017), come quelli che la giurisprudenza ha ritenuto di rientrare nell’ambito di applicabilità dell’art. 1669 c.c. (ad esempio, citando alcuni casi recenti:  difetti della pavimentazione, eccessiva pendenza di una rampa di accesso ai box condominiali, la rumorosità di un ascensore), che però non minavano in alcun modo la statica dell’edificio. In tal modo non si tien conto, però, che, mentre l’espressione impiegata dal legislatore (“gravi difetti”) è del tutto generica, sì da consentirne quell’interpretazione estensiva che si è imposta nella prassi giurisprudenziale, la formulazione della clausola contrattuale è molto specifica e circostanziata nel senso di limitare la garanzia assicurativa ai soli difetti che attentino in modo certo ed attuale alla statica dell’edificio progettato e/o diretto dall’assicurato. Il testo contrattuale, infatti, è molto chiaro e la sua diversità rispetto a quello dell’art. 1669 c.c. evidente. Questi dati di fatto sono stati colti, invece, dalla sentenza n. 1617/2017 del Tribunale di Treviso (G.U.: Dr. Andrea Valerio Cambi), che ha ritenuto “fuori copertura” un difetto costruttivo che aveva causato “l’ammaloramento della struttura della copertura” del fabbricato di cui il professionista assicurato aveva eseguito la “direzione lavori”, respingendo pertanto la domanda che questi aveva proposto contro il suo assicuratore. Il Tribunale ha, infatti, chiarito che “per espressa previsione contrattuale, la compromissione dell’edificio o di parti di esso deve essere certa ed attuale”, ai fini di comprometterne “la stabilità, solidità e durata”, ciò che non era nel caso esaminato, perché “il livello di degrado del tavolato in legno delle unità immobiliari oggetto di causa è ben lontano da integrare gli estremi previsti per l’attivazione della garanzia” (così smentendo la valutazione “di segno avverso data dal CTU” cui era stata “impropriamente demandata una valutazione… che esorbitava completamente dalle attribuzioni del tecnico” perché “riservata all’apprezzamento del giudicante”). Proprio per quanto si è detto poc’anzi, è importante notare che la medesima sentenza aveva invece accolto la domanda proposta dagli acquirenti delle citate “unità immobiliari”, affermando la responsabilità dell’appaltatore e del direttore lavori, sul presupposto che “i “gravi difetti” di cui alla noma non si esauriscono in quei fenomeni che influiscono sulla stabilità dell’edificio, pena far coincidere tali difetti con il “pericolo di rovina” di cui allo stesso art. 1669 cod. civ.”, per qui questi in realtà consistono “in qualsiasi alterazione, conseguente all’imperfetta esecuzione dell’opera, che pregiudichi in modo considerevole, vale a dire apprezzabile, il normale godimento dell’immobile”. Insomma, è la natura dei “gravi difetti” a fare la differenza. Per integrare gli estremi di quelli previsti dall’art. 1669 c.c. è sufficiente che il difetto incida (in modo apprezzabile) sul godimento dell’edificio, mentre per far operare la garanzia assicurativa questo non basta, essendo indispensabile che il difetto incida (già attualmente, e con certezza) sulla sua statica, mettendola in pericolo.

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